Lottando con l'angelo - Antonio Peterucci - EBOOK
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ROMANZO
Questo libro è un omaggio a Dostoevskij di cui cadrà, nel 2021, il secondo centenario dalla nascita. Ma è anche lo studio di un uomo (dell’uomo?) nelle situazioni-limite dell’esistenza; quelle che interrompono il “quieto andamento delle cose” e ci portano di fronte ad un abisso: la prossimità della morte, l’amore, il gioco, la malattia, e perfino la creazione artistica. Iniziato come “romanzo filosofico”, Lottando con l’angelo si rivela essere, alla fine, anche un “romanzo religioso” attraversato com’è, fin dalla prima pagina, dal tentativo di comprendere il rapporto che lega l’uomo a Dio e viceversa.
L'AUTORE: Antonio Petrucci ha insegnato filosofia all’Istituto-Liceo “Matilde di Canossa” di Reggio Emilia. Giornalista pubblicista, ha collaborato con vari giornali e riviste. Ha inoltre contribuito a volumi collettivi, l’ultimo dei quali è l’Abecedario Filosofico, Edizioni San Lorenzo 2019. I suoi interessi, che vanno dalla filosofia alla storia e alla letteratura, sono confluiti in questo romanzo che si legge tutto d’un fiato - ma merita una seconda lettura.
POSTFAZIONE
di Flavia Rossi
Rivendicando l’autore “la libertà dell’immaginazione nell’ambito della ricostruzione storica”, ma non rinunciando affatto a questa ricostruzione, si può affermare che Lottando con l’angelo si presenti come un laboratorio che ci conduce a una originalissima biografia ragionata di F. M. Dostoevskij. Ma, trattandosi della vita di uno scrittore (“Mi chiamo Fëdor Michaijlovič Dostoevskij e sono uno scrittore” è uno dei leitmotiv ricorrenti), nella narrazione entra di prepotenza, meglio, di necessità, la produzione letteraria dello stesso “personaggio”, il che impegna l’autore in un ardito contrappunto fra produzione artistica ed esistenza, fra composizione letteraria e nuove ipotizzate prospettive della stessa, in una fuga in avanti quasi senza fine.
Detta in altri termini, è come se l’autore facesse derivare, quasi per emanazione – cosa inconsueta e originale –, la biografia di Dostoevskij dalla sua produzione artistica.
La struttura compositiva si presenta come quella di un intreccio fra più livelli di narrazione, collegati fra loro secondo moduli contrappuntistici non immediatamente evidenti ma sempre abilmente suggeriti o posti in filigrana. Un periodo ipotetico misto della realtà (primo tipo) e della possibilità (secondo tipo). Il terzo, dell’irrealtà, non è contemplato perché, come si sa, nell’arte tutto è possibile, anche quello che sembrerebbe nella vita impossibile.
Basta scorrere i titoli dei vari capitoli, per rendersi conto che l’autore ha rinunciato ad una linea narrativa conseguentemente diacronica: tutti, tranne l’ultimo, indicano nel titolo un luogo e un tempo, ma con un ordinamento che va per i primi sei capitoli dal tempo più lontano al più vicino, per poi tornare bruscamente indietro (ma i capitoli VII e VIII sono necessari) e infine ricongiungersi al presente (cap. IX).
Ne risulta una campionatura, anche stilisticamente variata, di ellissi e flash–back, che cattura il lettore anziché spiazzarlo, costituendo una sorta di sfida al lavoro di comprensione – immaginazione – proiezione interiore che l’autore gli chiede di compiere.
Il tema della creazione artistica immaginifica (“Chi è lo Scrittore? Chi è veramente? Egli non è un intellettuale – egli è un visionario”: Dostoevskij pronuncia queste parole nel suo “Discorso su Puskin” ma è evidente che sta parlando anche di se stesso) dialoga con quello, tutto dostoevskijano, dello scandaglio dell’animo umano, dai temi storico–sociali a quelli metafisici, dunque della pretesa presenza di Dio nella storia e del suo silenzio, della vita e della morte, del tempo che è concesso per realizzare se stessi, della libertà, dell’esistenza come impresa filosofica, quando non anche morale e religiosa.
Non a caso, nell’ultimo capitolo, lo scrittore “scompare” come personaggio del racconto per lasciare libera scena allo sviluppo (ecco il periodo ipotetico del secondo tipo!) del suo personaggio Aljòša Karamàzov. Aljòša dunque si convince che Dio non è tanto inesistente quanto indifferente di fronte alla sorte degli uomini e decide un’impresa clamorosa per costringerLo ad “abbassare lo sguardo” su di lui. Il tema, il motivo dell’indifferenza di Dio, si era presentato nel capitolo I (dove Fëdor, condannato a morte, immagina Dio come una statua “nuda e senza pietà”) e viene rievocato e arricchito anche dal rimando alla storia biblica di Giobbe. Aljòša ucciderà lo Zar? E Fëdor morirà con quel dubbio (l’indifferenza e forse la crudeltà di Dio)?
“... ed ecco, uno sconosciuto lottò con lui fino all’alba” (Genesi, 32, 25).
La lotta è stata lunga e dura. Lo sconosciuto se n’è andato. Tutto è compiuto. Aljòša fa pace con se stesso e con il suo Dio.
Per processo metonimico, anche il suo autore, Fëdor M. Dostoevskij, sente arrivare, prima della morte, il dono della grazia.